L’Istituto Storico Bellunese della Resistenza e dell’Età Contemporanea (Isbrec) assieme a Cierre, Archivio di Stato di Belluno e l’associazione Amici dell’Archivio storico di Belluno Feltre e Cadore, martedì 22 novembre alle ore 17.30 nell’aula magna dell’Istituto Superiore “Catullo”, in via Garibaldi a Belluno, presenta il libro di Maurizio Reberschak, “Il grande Vajont” (Cierre, 2016).
Il volume, in questi giorni ristampato dall’editore, viene presentato a Belluno per la prima volta dopo l’aggiornamento e ampliamento voluto dal curatore nel 2013.
“Il Grande Vajont” è l’espressione con la quale i tecnici della Sade chiamavano l’enorme diga che il 9 ottobre 1963, con la frana del Toc e l’esondazione delle acque dal lago artificiale, causava quasi duemila vittime. La poderosa struttura era il caposaldo di un sistema complessivo di dighe e derivazioni che faceva di quell’invaso il suo punto strategico e culminante. Ma dietro la colossale impresa, inappuntabile da un punto di vista ingegneristico, restavano molteplici criticità connesse in primo luogo alle esigenze economiche della Sade, la Società che aveva progettato e realizzato l’impianto, e al ruolo di uno Stato che non seppe o non volle verificarne la fattibilità da un punto di vista geologico.
Il libro curato da Maurizio Reberschak, pubblicato per la prima volta nel 1983 e successivamente rivisto e aggiornato fino alla sua ultima edizione del 2013 (uscita in occasione del 50° anniversario della tragedia e arricchita – anche nell’apparato documentario e fotografico – dai più recenti studi operati sulle carte processuali), rappresenta senz’altro il punto più alto delle numerose ricerche attorno a questo tema la cui portata ve ben aldilà del rilievo locale.
Quello che è stato il più grave disastro provocato dall’attività umana in tempo di pace rappresenta infatti non solo una vera e propria cesura nella storia della comunità bellunese, ma anche un episodio di rilevanza internazionale. Si consideri in questo senso la dichiarazione firmata dall’Onu nel febbraio 2008, in occasione dell’apertura dell’anno internazionale del pianeta terra: Il disastro del bacino del Vajont è un classico esempio delle conseguenze del fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere la natura del problema che cercavano di risolvere. In tal senso la vicenda del Vajont non può essere ridotta ad un semplice episodio di carattere locale. Volendo utilizzare le parole di Maurizio Reberschak si potrebbe dire che la congiuntura in cui si verificò la catastrofe si inseriva in un contesto e in un quadro di intervento forzato dell’uomo sulla natura, di incremento di politica energetica, di rapporti fra potere privato e potere pubblico, di compenetrazioni tra imprese private e istituzioni statali, di emergenze delle politiche delle multinazionali
Da questo punto di vista, pensando ai valori legati al rispetto della natura, alla giustizia, ai diritti e ai doveri, la vicenda del Vajont diventa emblematica del problema del rapporto tra comunità e poteri economici. Si pensi solo al successivo episodio del 19 luglio 1985 quando i bacini di decantazione della miniera di Prestavel ruppero gli argini scaricando 180.000 m3 di fango sull’abitato di Stava (Trentino) provocando la morte di 268 persone o, più di recente, al caso del fallito Referendum sul tema delle trivellazioni e dello sfruttamento delle risorse del sottosuolo al largo delle coste italiane, o al problema dell’alta velocità in Val di Susa. Interessi economici, interessi delle comunità, costi e benefici, ruolo dello Stato in campo economico e in qualità di controllore, problemi di natura ecologica, questioni legate alla giustizia (la vicenda giudiziaria del Vajont durò quasi 40 anni, vedendo lo Stato contemporaneamente sul banco degli imputati e su quello degli accusatori) sono sempre più centrali nel mondo contemporaneo e il Vajont pare un caso esemplare per rifletterci, un vero paradigma dell’Italia di oggi.
Il volume che viene presentato a Belluno il 22 novembre affronta queste tematiche e altre ancora grazie all’apporto di numerosi storici, locali e non, tra cui vale ricordare almeno Luigi Ganapini, Mario Isnenghi, Ferruccio Vendramini, Fiorello Zangrando. A discuterne sarà la professoressa Teresa Isenburg, docente di Geografia politica ed economica presso l’Università di Milano, assieme a Ferruccio Vendramini (curatore, tra l’altro, dei libri Disastro e ricostruzione nell’area del Vajont e Superstiti e testimoni raccontano il Vajont) e Maurizio Reberschak stesso.
L’appuntamento vanta il patrocinio del Comune di Longarone, del Comune di Belluno e della Fondazione Vajont.
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Presentazione del libro “Il grande Vajont” di Maurizio Reberschak martedì 22 novembre alle 17.30 nell’ aula magna dell’istituto Catullo.
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